Per un certo periodo della mia vita io e Franco Battiato non ci siamo molto frequentati. Ovviamnente conoscevo le sue canzoni più famose e mio fratello aveva anche il cd de L’imboscata. Nonostante ciò ci siamo sempre guardati con un po’ di diffidenza.
Poi nel 2003 sono andato In Tunisia con gli amici. Uno di loro ha pensato bene di portare un doppio live con arrangiamento orchestrale, perché ti pare che puoi andare a Tozeur senza ascoltare “I treni per Tozeur”? O girare per Tunisi senza canticchire “Pieni gli alberghi a Tunisi”?
Il suddetto amico lo ha messo su a ripetizione per sette giorni su sette, in ogni occasione. L’ho molto odiato – sia il disco che il mio amico - ma alla lunga io e Franco abbiamo fatto amicizia.
L’altro giorno per radio ho sentito una sua vecchia canzone con l’arrangiamento originale, non quello orchestrale del Live e ho pensato che sarebbe stato interessante approfondire il periodo elettronico, quello dei primi album più sperimentali e bizzarri: Foetus, Pollution, Sulle corde di Aries.
E quindi, Fetus.
Fetus dura esattamente da quando salgo in treno, mi siedo e lo faccio partire, a quando il treno di ferma alla mia stazione e si aprono le porte. Proprio per questo motivo mi è venuto facile ascoltarlo diverse volte.
Fetus è un’esperienza surreale, persino dadaista se vogliamo, considerato che la hit parade del 1972 vedeva ai primi posti Mina, Battisti e De Andrè. Già l’immagine di copertina, che verrà censurata, è provocatoria e dissacrante per il pubblico dell’epoca. (Pure per quello attuale, se lo chiedi a Salvini o alla Roccella).
Al primo ascolto Battiato è talmente un altro mondo rispetto al 1972 che ti chiedi cosa c’avessero in mente lui e quelli che il disco gliel’hanno pubblicato, perché la perdita secca per la casa discografica era certa già in sala d’incisione. Questo però mi fa anche pernsare che c’è stato un tempo, diverso da quello attuale, in cui il guadagno non era l’unico fine che muoveva l’industria discografica. Si sperimentava, si provavano a battere vie meno sicure, si rischiava, nonostante il primo Battiato sia stato un puro azzardo per chiunque lo abbia preso in mano.
Comunque, Fetus.
Fetus è un concept album che racconta la storia dal punto di vista di un feto nell’utero.
Dire che i testi sono bizzarri è poco, dentro ci sono declamazioni, formule matematiche, definizioni da vocabolario… in più di un’occasione si ha l’impressione di ascoltare Elio e le Storie Tese (che probabilmente vi si sono ispirati), ma senza l’ironia e la consapevole presa in giro, il che è ancora più straniante.
È un album progressive, ricco di suoni e strumenti, cori operistici e synth. Ma l’elettronica che pervade il disco in Italia è ancora ai primordi, quasi nella fase del gioco, e infatti si nota un gran divertimento tanto che che in certi momenti sembrano le colonne sonore dei primi videogiochi.
In alcuni momenti si intuisce il Battiato che verrà, ma con Fetus l’impressione è che non avesse ancora centrato né l’argomento, né la musica, nè il linguaggio per esprimersi. Però chapeau per il coraggio, ce ne vuole parecchio per pubblicare un disco così 50 anni fa, in Italia.
Per la musica sarebbe arrivato Stockhausen a dargli una mano e farlo uscire dalla forma canzone, e poi il violinista Giusto Pio per riportarlcelo dentro, per gli argomenti e il linguaggio si sarebbe immerso testi esoterici di René Guenon, Georges Gurdjieff e nel misticismo orientale.
Nonostante le stranezze bisogna dire che il disco si fa ascoltare bene, è divertente, le varie tracce (brevi) sono estremamente orecchiabili, sintomo di quell’abilità “pop” di Battiato che pochi anni dopo sarebbe riuscito a far cantare al pubblico i versi più bizzarri della musica italiana.
E’ un disco da ascoltare per curiosità o per completismo, ed è a suo modo interessante per seguire l’evoluzione artistica di Battiato.
Per il resto, dubito lo ascolterò ancora.
Aggiornamento al 01/07/2024
L’ho ascoltato ancora.
"Questo però mi fa anche pensare che c’è stato un tempo, diverso da quello attuale, in cui il guadagno non era l’unico fine che muoveva l’industria discografica."
C'è un video celebre di Frank Zappa, nel quale racconta come, controintuitivamente (e per lo meno in America), fino agli anni '70 i big boss delle etichette musicali non avevano pregiudizi, e quando arrivava loro una proposta bizzarra, semplicemente la pubblicavano: "proviamoci!, se trova il suo mercato bene, altrimenti amen" - avevano i budget, potevano farli.
Stando a Zappa, tra quelle cose bizzarre c'erano molti degli hippie che poi sono diventati a loro volta big boss, ma a quel punto erano diventati conservatori dello status quo musicale - loro - e le cose non sono più evolute in virtù di un orientamento al non perdere soldi, a fare "cose sicure".